Secondo Lyn Alden https://www.lynalden.com/, il ciclo finanziario di lungo termine arriva ad un punto estremo e di svolta dopo diversi decenni; pertanto, pochi investitori hanno memoria dei punti di svolta dei cicli di lungo termine, l’esperienza personale non permette di riconoscerli. Ci troviamo alla fine di un ciclo finanziario di lungo termine: per avere una visione completa della situazione diventa necessario analizzare il contesto storico.
Dopo che il susseguirsi di vari cicli economici di breve termine, ci si ritrova con un debito totale (pubblico e privato), estremamente elevato, e con tassi di interesse pari allo zero. A quel punto diventa difficile, se non impossibile, abbassare ulteriormente i tassi. Quando i tassi di interesse arrivano allo 0%, ci si ritrova con una situazione al limite.
Durante il secolo scorso, ci sono stati due cicli finanziari di lungo termine. Il primo ciclo di lungo termine ha raggiunto il termine in due momenti collegati, con la prima fase negli anni ‘30 e la seconda negli anni ’40. Il secondo ciclo finanziario di lungo è in atto, raggiungendo il primo picco nel periodo 2008-2014 ed il secondo picco, iniziato nel 2020, è tutt’ora in corso.
Nel grafico (sotto) si vede il debito totale americano come percentuale del PIL, dal 1920 ad oggi (in blu, l’asse lato sinistro) confrontato con i tassi di interesse a breve termine americani (in arancione, l’asse lato destro). Il ciclo attuale è iniziato nel 1981 quando inflazione e tassi di interesse erano molto elevati, ed il debito basso. Dopo quarant’anni di inflazione e tassi decrescenti abbiamo una situazione completamente opposta.
Se nei primi dei cicli finanziari di breve termine (pensiamo ai primi anni ’80 ad esempio), il debito sistemico è relativamente basso, e dunque riducibile tramite default di settore senza sconvolgere il sistema finanziario, quando invece c’è un livello estremamente elevato di debito nel sistema, e cioè superiore ad un livello di poche centinaia per cento rispetto al PIL, è praticamente impossibile ridurre quel debito in termini nominali senza sconvolgere il sistema finanziario. Permettere default vari, farebbe crollare l’intero sistema finanziario (pensiamo alla Lehman), e si entrerebbe in un circolo vizioso. A quel punto, l’unica via è ridurre il peso del debito in termini reali, tramite una forte espansione della massa monetaria nel sistema. Così si crea inflazione, aumentando il PIL nominale (con la conseguente di svalutazione della valuta) in modo da ridurre il peso reale del debito rispetto al PIL.
È facile osservare da anni come l’opinione pubblica sia critica con la politica attuale di QE; in realtà, gli errori chiave che hanno portato alla situazione attuale sono stati commessi da tutti nei decenni, con un uso eccessivo della politica monetaria accomodante, accompagnata da una serie di politiche fiscali errate, che hanno incoraggiato e permesso l’accumulo di troppo debito. Una volta che si arriva ad un livello estremo di debito totale (privato e pubblico), le opzioni per affrontare la situazione diventano molto limitate. Quando un emittente fa default sul proprio debito, i creditori che hanno prestato subiscono un danno finanziario, e, se si sono indebitati a loro volta (come avviene spesso quando il debito nel sistema è elevato), possono essere costretti a fare default a loro volta, creando un effetto a catena. Questo è il rischio che si corre alla fine di un ciclo di debito di lungo periodo, come il momento attuale.
Un sistema monetario sovrano (come gli USA, il Giappone, l’Eurozona) raramente arriva al punto di collassare su sé stesso in una spirale recessiva prolungata con default a catena diffusi, perché le autorità intervengono per bloccare i default quando la situazione è così estrema. Anche se la classe politica tenta la strada del rigore, tagliando la spesa pubblica, tagliando le pensioni per evitare di intervenire con soluzioni inflazionistiche (come avvenuto in Italia nel 2012 – mia nota) alle elezioni successive gli elettori in genere eliminano i politici che avevano scelta quella strada del rigore e votano per altre politiche. Ecco perché, quando i tassi di interesse toccano il livello di zero, il debito sovrano è troppo elevato, e non ci sono sufficienti acquirenti privati di tale debito sovrano, la banca centrale deve creare moneta (QE) per finanziare l’acquisto del debito pubblico (come avviene attualmente presso la BCE che compra il debito italiano da anni – mia nota). Se c’è un livello di debito pubblico e privato estremamente elevato rispetto alla quantità di moneta cartacea (credito) nel sistema, si aumenta la moneta nel sistema per finanziare l’acquisto.
I picchi estremi nei cicli di debito a lungo termine (che viviamo attualmente) tendono a coincidere anche con picchi massimi nella concentrazione della ricchezza, dove il divario tra i super ricchi e tutti gli altri diventa sempre più ampio. Il credito non raggiunge più le persone che appartengono a tutti i livelli di reddito, e arriva soprattutto solo ai super ricchi. Una combinazione di politica fiscale severa (con poca spesa pubblica) e politica monetaria accomodante (tassi bassi) tende ad esacerbare tale risultato.
In queste situazioni i partiti “populisti” acquisiscono sempre più consensi, e, mentre alcuni filoni di questi possono essere abbastanza razionali e utili, possono emergere poi anche filoni più estremi e pericolosi, in particolare se i contrasti iniziali non vengono affrontati. La classe politica deve affrontare la scelta tra fare qualcosa per alleviare i problemi finanziari della vasta popolazione, oppure rischiare proteste allargate. Quando lo 0,1% della popolazione possiede tanta ricchezza quanto il 90% della parte meno abbiente della popolazione, la classe politica tende a trovarsi di fronte a tensioni sociali. Anche la crescita economica tende ad essere stagnante, poiché per far correre l’economia serve un’ampia classe media benestante, e non pochi ricchi con molti poveri che non fa bene all’economia.
La storia degli ultimi cento anni sembra indicare che la differenza tra un normale evento di default, che riduce il debito accumulato in pochi anni da parte di alcuni operatori economici, ed il processo di riduzione del debito e della leva finanziaria accumulato in tutto sistema nell’arco di molti decenni, è che in quest’ultimo caso, l’unica opzione è creare moneta e lasciar svalutare la moneta.
Lyn Alden nel grafico suddivide il debito totale americano come percentuale del PIL in due sottogruppi: 1) il debito pubblico in percentuale del PIL (linea blu, sotto), che è praticamente privo di rischio di default, e 2) il debito privato con rischio di default sostanziale in percentuale del PIL (linea arancione, sotto).
I picchi del debito privato (linea arancione) hanno portato a crisi bancarie, mentre i picchi del debito pubblico (linea blu) hanno portato sulla via della svalutazione del potere di acquisto tramite inflazione. Questo grafico mostra perché i picchi dei cicli di debito a lungo termine avvengono in due momenti ravvicinati però successivi; oggi il sistema va verso un secondo picco di debito pubblico (linea blu).
Il debito privato sembra essere diminuito molto negli anni ’30 – ’40. In effetti, il debito privato è sceso dal livello del 225% al 75% rispetto al PIL. Tuttavia, in termini nominali, il debito privato è sceso solo del 20% circa. Allo stesso tempo, il valore del dollaro americano veniva svalutato del 69% rispetto al valore dell’oro, che è passato da $20,67 l’oncia a $ 35 l’oncia.
Combinato con spesa pubblica e un aumento dell’offerta di moneta, portando ad un aumento di inflazione e del PIL nominale, è sceso il rapporto tra debito e PIL. Il debito è sceso del 20%, ma il denominatore Pil nominale è salito alle stelle grazie all’inflazione.
Gli Stati Uniti entrarono poi nella Seconda Guerra Mondiale, iniziando una massiccia spesa pubblica finanziata da debito pubblico (in parte monetizzata dalla Fed che acquistava i titoli di stato, come fa oggi). La Fed ha bloccato il tasso di interesse pagato dai titoli di stato ad un livello ben al di sotto del tasso di inflazione per svalutare il peso del debito, e la produzione industriale del paese si è triplicata nei cinque anni successivi.
Grafico a cura di Lyn Alden, dati St. Louis Fed
Dopo la Seconda Guerra Mondiale, l’elevato debito pubblico accumulato non diminuì in termini nominali: di nuovo, mentre il debito nominale è stato tenuto fermo (grazie alla Fed che comprimeva i tassi di interesse sul debito ben al di sotto del tasso di inflazione) il PIL nominale è salito, in parte grazie alla crescita e in parte grazie all’inflazione. Di nuovo, è stata una combinazione di spesa pubblica aggressiva e svalutazione monetaria, che ha ridotto il debito pubblico rispetto al PIL.
Lyn Alden conclude che oggi la pandemia potrebbe mettere questo decennio in una situazione simile agli anni ‘40, dove un evento esterno cambia l’opinione pubblica sull’opportunità di fare spesa pubblica. Il grafico sotto mostra come le svalutazioni della moneta sono state frequenti in tutti i Paesi, in particolare nel secolo scorso. Il grafico include solo le valute che hanno perso almeno la metà del loro potere d’acquisto entro un periodo di cinque anni, mentre non include tutte le altre valute che si sono svalutate meno oppure durante un lasso di tempo più lungo:
Nel corso degli ultimi due secoli, su 52 paesi che hanno raggiunto livelli di debito sovrano del 130% del PIL, 51 hanno finito per effettuare una forte svalutazione della moneta, oppure hanno optato per l’inflazione più elevata, onde evitare la ristrutturazione del debito, o il default.
Gli investitori, che investono in titoli di stato di un Paese che ha un debito oltre il 130% del PIL, stanno investendo in obbligazioni emesse da uno stato che non sarà in grado di rimborsare il proprio debito in una moneta che mantiene lo stesso potere d’acquisto. In queste situazioni, i titoli di stato con rendimenti inferiori al tasso d’inflazione sono strumenti che possono essere usati per fare trading, ma sono pessimi investimenti da tenere a scadenza in quanto producono rendimenti reali negativi a scadenza.
Durante una crisi finanziaria, quando il debito totale nel sistema è elevato, i debiti vengono svalutati in termini reali. Questa è la natura intrinseca della moneta cartacea: la sua offerta è infinitamente disponibile per la classe politica. Proprio come l’acquisto di azioni in mercati azionari sopravvalutati spesso si traduce in una perdita di potere d’acquisto nel corso dei successivi 10-20 anni, investire in titoli di debito con bassi tassi di interesse durante una bolla di debito, si traduce ugualmente in una perdita.
L’efficacia della politica monetaria e della politica fiscale si alternano a vicenda nel tempo.
Durante un’economia in piena espansione, quando le banche prestano per finanziare progetti produttivi, e i tassi di interesse ed inflazione sono sopra lo zero, le banche centrali hanno il potere di frenare l’economia, o di agevolarla quando rallenta: la politica monetaria incide dunque, nel bene e nel male.
Nel momento in cui i tassi vengono portati fino allo zero, la politica monetaria non può più abbassare i tassi, e deve passare ad espandere la moneta disponibile in modo aggressivo (“QE”). In un primo momento ha un certo livello di efficacia per combattere uno shock recessivo e far decollare il sistema bancario, ma nel complesso sono misure con efficacia limitata. Il QE può ricapitalizzare le banche con altre riserve, può compensare una crisi di liquidità, ma non può creare un’inflazione sostenuta o un’espansione del credito.
La situazione attuale
La crisi del 2008 ha creato un periodo simile a quello degli anni ‘30 e ‘40. Le banche centrali hanno aumentato la base monetaria, ricapitalizzando il sistema bancario americano, però questo credito disponibile non si è tradotto in un forte aumento dei prestiti né in un aumento di crescita economica.
I mercati finanziari hanno recuperato dal 2009, mentre l’economia reale (PIL) è rimasta debole, ed il tasso di partecipazione al lavoro tra i lavoratori giovani non è mai tornato ai livelli pre-2008. Con lo shock del COVID-19 l’economia ha rallentato di nuovo nel 2020, per poi ristabilizzarsi nuovamente, partendo da una situazione di forte indebitamento. Questo ha costretto la classe politica a spendere su una scala mai vista dalla Seconda guerra mondiale, e resta da vedere quale sarà il risultato finale.
Da quando la pandemia ha ulteriormente fatto scoppiare la bolla del debito, essendo la politica monetaria ormai inefficace, la banca centrale americana ha chiesto interventi di spesa pubblica.
Con gli sviluppi tecnologici, la tendenza strutturale di lungo termine va verso una discesa dell’inflazione o una vera e propria deflazione, e normalmente sarebbe una buona cosa. Mentre la tecnologia dell’umanità progredisce e la produttività migliora, è naturale poter comprare più beni e servizi rispetto cinque o dieci anni fa, con lo stesso denaro, grazie alla tecnologia.
Tuttavia, poiché abbiamo strutturato la nostra economia attorno a un sistema basato sul credito e cioè sul debito, la deflazione è vista dalla classe politica come il nemico principale, perché fa aumentare il peso del debito, e limita la possibilità di contrarre nuovo debito. Quando i tassi di interesse a breve termine arrivano allo zero, e la base monetaria viene espansa in modo drammatico (linee blu e arancione, grafico sotto), la politica monetaria di per sé è praticamente priva di munizioni, la spesa pubblica deve subentrare.
Se la classe politica si rende conto che l’economia è stagnante e che le banche non stanno prestando, può far approvare misure di spesa pubblica, sussidi, tagli delle imposte, e accreditare denaro direttamente alle famiglie e alle imprese.
Dalla metà degli anni ’30 alla metà degli anni ’70, nei periodi di inflazione crescente, i titoli di stato decennali, che sono stati acquistati e mantenuti a scadenza, hanno portato ad una perdita di potere d’acquisto per gli investitori, soprattutto rispetto all’oro.
Questo grafico mostra i rendimenti dei titoli di stato a 10 anni (linea blu) in rapporto al rendimento annuale corretto per l’inflazione dei Titoli di Stato a 10 anni acquistati quell’anno e detenuti fino a scadenza (barre arancioni):
Durante gli anni ’40, periodo di massiccia spesa fiscale per la guerra, la Fed ha bloccato i tassi al di sotto del tasso di inflazione prevalente (repressione finanziaria):
Anche in questo caso, il titoli di stato sono stati rimborsati, ma gli investitori in quei titoli hanno perso un terzo del loro potere d’acquisto a causa dell’inflazione, come si vede nel prossimo grafico.
In gran parte, questo è stato il modo in cui il ciclo del debito a lungo termine degli anni ’30 e ’40 è stato pagato; i detentori del Tesoro hanno perso il potere d’acquisto, nonostante siano stati rimborsati in termini nominali, perché è stata la valuta stessa a essere svalutata, piuttosto che le obbligazioni sovrane a essere inadempienti. Lo stesso si può dire per i risparmiatori che hanno tenuto i risparmi in contante.
Nei periodi di inflazione crescente, – le obbligazioni a tasso fisso rappresentano un investimento che può dare una certa serenità psicologica, perché hanno prezzi poco volatili, ma non permettono di mantenere il potere di acquisto. Le materie prime invece, e soprattutto i metalli preziosi, offrono una soluzione al posto delle obbligazioni per potersi proteggere in periodi di inflazione crescente. Qui si confronta il prezzo dell’oro corretto per inflazione (linea arancione) e l’inverso dei tassi di interesse reali, i tassi reali negativi si trovano sopra la linea bianca laterale. Mentre l’investimento obbligazionario non riesce a tenere il passo con la perdita di potere di acquisto, e dunque offre rendimenti reali negativi, – in questi momenti – l’oro svolge la propria funzione di protezione dalla perdita di potere di acquisto. Nei momenti in cui il mercato si aspetta tassi reali positivi, invece- è meglio preferire l’investimento obbligazionario e non i metalli preziosi.
Nel grafico (sotto) si vede il rapporto tra il prezzo dell’oro rivalutato per inflazione, con l’inverso dei tassi di interesse reali. Oro sale in particolare nei periodi in cui i tassi di interesse reali sono negativi. Dati Bloomberg
Sotto un confronto tra l’indice azionario americano con l’indice delle materie prime, per confrontare le valutazioni relative:
Dal 1960 al 1980, periodo di tassi crescenti e di inflazione crescente, oro e argento hanno molto sopra-performato rispetto agli indici azionari, come riportato qui nel grafico. In quel periodo, comunque, i settori azionari che beneficiano di inflazione hanno avuto risultati molto positivi.
Gli investitori farebbero bene a monitorare per questi fenomeni nei prossimi anni. La “partita finale” per l’attuale contesto di debito elevato comporterà probabilmente una combinazione di elevata spesa pubblica in deficit (monetizzata dalle banche centrali), rendimenti dei titoli di stato mantenuti costantemente al di sotto del tasso di inflazione, un cambiamento da inflazione decrescente a crescente, e successivamente un periodo di svalutazione monetaria.
I tempi e la portata della politica fiscale svolgeranno un ruolo chiave nei prossimi anni. Ogni volta che la politica spende in modo aggressivo, il risultato a breve termine tenderà verso l’inflazione. Ogni volta che la politica tende verso l’austerità, il risultato a breve termine tenderà verso la disinflazione.
Bibliografia
The Solid Ground Newsletter https://russellnapier.co.uk/
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