Nella mia attività di consulente finanziario autonomo, e cioè un consulente indipendente che lavora senza vincoli con banche o assicurazioni, il sentimento che rilevo più spesso dagli investitori e risparmiatori è la nostalgia per gli anni ‘80.
Ho l’impressione che molti risparmiatori abbiano la sensazione che fosse più facile investire e far crescere i propri risparmi in quegli anni: si ricordano come bastasse investire in un buono postale, tenerlo lì fermo 10 o 12 anni, e alla fine ritrovarsi il capitale ben rivalutato, senza che fosse necessario avere una grande cultura finanziaria per far fare le scelte giuste.
Oggi, invece, si sentono quasi sopraffatti dal fatto di dover “seguire” i mercati. Molti mi dicono che vengono da me proprio per avere una serenità psicologica e per non dover seguire tutto da soli, mentre negli anni ‘80 non si sarebbe avuto bisogno di alcuna consulenza.
Insomma, numerosi risparmiatori desiderano rendimenti “certi” e senza sorprese, perciò vivono l’investimento obbligazionario come un investimento senza rischi, anche se questo non corrisponde alla realtà. L’investimento obbligazionario piace molto perché c’è un punto di partenza, una scadenza e cedole fisse (che sono viste come rendimento fisso); dunque, anche se il valore dell’obbligazione scende, questo tende a creare poche preoccupazioni, perché molti credono che basti aspettare la scadenza per riavere il capitale investito. La possibilità che il titolo possa rendere molto meno del tasso di inflazione non sembra preoccupare, forse perché è da oltre 30 anni che l’inflazione scende e dunque questa possibilità non preoccupa più.
Negli ultimi 40 anni l’investimento in obbligazioni è Stato il miglior investimento possibile, proprio perché durante tale periodo l’inflazione è stata in costante discesa.
All’inizio degli anni ’80 il tasso di inflazione toccò un picco massimo in tutto il mondo occidentale, superando il 15% in molti paesi. Per cercare di far scendere il tasso di inflazione, la banca centrale americana introdusse una politica monetaria stringente, facendo salire i tassi di interesse, e così l’inflazione iniziò il suo percorso di discesa.
Percorso che sarebbe durante oltre 35 anni, e che è giunto al termine quest’anno, probabilmente.
Grafico: il tasso di inflazione negli USA e nei paesi G7 (linea blu) dal 1960 ad oggi
Nel grafico seguente vengono invece riportati sia il tasso di inflazione negli USA (linea nera) e nei paesi G7 (linea blu) dagli anni ’60 ad oggi, sia dei tassi di rendimento dei titoli di Stato decennali americani (linea rossa) e dei titoli di Stato dei paesi G7 (linea arancione).
Si vede beve come i tassi di rendimento dei titoli di Stato abbiano seguito, nel tempo, il tasso di inflazione.
Negli anni ’80 non soltanto le obbligazioni rendevano molto più di oggi, in linea con un tasso di inflazione più elevato, ma le obbligazioni decennali avevano un rendimento reale positivo, cioè ben superiore rispetto al tasso di inflazione. Negli ultimi 15 anni, invece, i rendimenti reali, cioè i rendimenti al netto dell’inflazione, si sono ridotti notevolmente.
Grafico 2: inflazione e rendimenti dei titoli di Stato dagli anni ’60 ad oggi
Quando acquistiamo un titolo obbligazionario con cedole fisse, blocchiamo quel rendimento fisso fino alla scadenza. Se poi, successivamente all’acquisto, l’inflazione scende rispetto al momento in cui abbiamo acquistato il titolo, finiamo per aver bloccato un rendimento superiore all’inflazione che va via via scendendo (esempio nel Grafico 3, più sotto). In pratica finiamo per ottenere un rendimento reale positivo.
Negli anni ’80 e ’90, gli investitori in obbligazioni in particolare hanno beneficiato di questa possibilità di bloccare rendimenti fissi mentre l’inflazione scendeva.
Nei periodi di inflazione crescente, invece, com’è accaduto dagli anni ’50 fino al 1981-1982, accadeva l’opposto: investire in obbligazioni a tasso fisso non permetteva di avere un rendimento reale positivo.
Acquistare un titolo di Stato con cedole fisse porta a vincolarsi ad un rendimento fisso che può rivelarsi penalizzante in una situazione di inflazione crescente, risultando in un rendimento reale negativo.
Quando si investe in obbligazioni a cedola fissa ed il prezzo di mercato scende notevolmente, questo può essere dovuto ad attese di inflazione in salita, oltre a eventuali timori per la sicurezza del titolo (rischio default).
Negli ultimi anni, a causa dei rendimenti bassi offerti dai titoli di Stato e dalle obbligazioni sicure in generale, è partita la ricerca per il rendimento da parte dei risparmiatori, arrivando ad investire in obbligazioni “sub prime” (2005-2008), in obbligazioni bancarie subordinate, in obbligazioni high-yield, ed in certificates.
Mentre alcuni di questi investimenti, come i fondi high yield, hanno prodotto rendimenti soddisfacenti, altri investimenti, come le obbligazioni subordinate, hanno causato perdite per molti investitori portando molte persone a perdere fiducia nei mercati in generale.
Grafico 3: l’investimento in obbligazioni a tasso fisso nel tempo
Molti risparmiatori quindi scelgono di tenere i soldi sul conto corrente e di non investire, questo per paura di restare scottati, oppure perché investire sembra diventato troppo complicato. Tenere i soldi sul conto va bene fino a quando continuiamo ad avere un tasso di inflazione vicino allo zero: in una situazione di inflazione crescente, situazione che potrebbe arrivare nei prossimi anni, è la scelta peggiore.
Mi capita spesso di essere contattata da persone che mi chiedono di aiutarli ad investire in “investimenti senza rischio”. Cosa che in realtà non esiste.
È come dire di voler guidare l’auto senza correre il rischio di incidente. Possiamo ridurre il rischio, possiamo minimizzarlo, ma non possiamo eliminarlo del tutto. In questa ricerca di certezze, molte persone si affidano a polizze o (peggio) a prodotti a “capitale garantito”. I prodotti a capitale garantito garantiscono il rimborso del capitale nominale, non del capitale in termini reali: non garantiscono il rimborso di un capitale rivalutato al tasso dell’inflazione.
Questi prodotti devono inoltre sostenere dei costi per poter dare una garanzia del capitale nominale; pertanto, i prodotti a capitale nominale garantito spesso hanno costi impliciti più alti a parità di altri fattori rispetto ad investimenti uguali che non offrono la garanzia del capitale nominale, e dunque alla fine il prezzo del capitale nominale garantito è quello di ottenere rendimenti più bassi.
La ricerca di certezze negli investimenti è la vera bolla
È comprensibile voler evitare il rischio di perdita definitiva di capitale, come accade quando un emittente di un titolo non rimborsa e fa default: è un rischio che viene ridotto tramite la diversificazione del portafoglio. Voler eliminare invece completamente la volatilità e l’incertezza sui singoli componenti di un portafoglio è un’illusione: è come coltivare un orto avendo la pretesa di poter prevedere le condizioni climatiche e garantire che tutte le coltivazioni andranno bene in ogni momento. Le previsioni finanziarie sono simili alle previsioni del meteo: vanno riviste e rettificate man mano che escono nuove informazioni, e anche le strategie di portafoglio vanno rettificate in funzione delle nuove informazioni. Sono queste incertezze che creano volatilità e incertezze nei risultati di breve periodo.
L’idea di poter avere “previsioni” certe, e con quelle previsioni fare scelte vincenti senza dover cambiare strategia, è di fatto un’illusione. Molti si innamorano dell’idea di poter fare un investimento per cui non ci sono sorprese o incertezze, ed è forse per questo motivo che qualcuno sceglie di investire in strumenti che promettono certezze, come i certificates oppure le polizze vita.
Le polizze vita sono prodotti di tutela, non sono semplici investimenti finanziari. Hanno un componente di investimento finanziario, a cui si abbina qualche tutela legale per coprire rischi personali, in copertura per i beneficiari della polizza. Queste tutele in alcuni casi possono essere utili, però le tutele costano!
È giusto pagare i costi per certe tutele offerte da una polizza solo se c’è un’esigenza personale. Non è sempre giustificabile scegliere una polizza come investimento finanziario semplicemente perché promette un rendimento nominale garantito a scadenza (oppure un capitale garantito a scadenza).
In un periodo di inflazione pari a zero un capitale nominale garantito può essere una scelta giusta, ma in un periodo di inflazione crescente, come potremo vedere nei prossimi anni, le polizze che garantiscono il capitale nominale saranno in grado di garantire anche un mantenimento del potere di acquisto? Questo dipende dai costi e dalla strategia di investimento.
La diversificazione vera e la diversificazione finta
Invece di cercare a tutti i costi prodotti che promettono rendimenti certi, io credo che sia più utile “gestire” la volatilità invece che cercare di comprimerla. Se è così diffusa la ricerca di rendimenti certi, probabilmente i prodotti che promettono certezze saranno sopravalutati: possiamo avere un vantaggio netto se abbandoniamo le false illusioni di avere rendimenti certi in favore della gestione la volatilità. Così, invece di pagare costi per avere garanzie nominali, possiamo operare nella realtà e tenere per noi il denaro non speso per tali costi.
Il primo passo: suddividere il patrimonio per obiettivi
Suggerisco di avere più di un conto o dossier: uno può essere dedicato alle spese ed entrate quotidiane, dove va tenuto una cifra che serve per affrontare imprevisti e che non va mai investita. Sul secondo dossier, invece, teniamo il capitale che serve per affrontare l’obiettivo di investimento di breve periodo, sul terzo dossier teniamo il capitale che serve per affrontare gli obbiettivi di lungo periodo (oltre 10 anni). Molte banche offrono la possibilità di avere più di un dossier titoli, ed in questo modo possiamo essere prudenti con il capitale che serve magari entro tempi brevi, ed accettare più volatilità sul capitale che serve tra 10 anni, ad esempio.
Questo non vuol dire correre rischi non calcolati, ma avere aspettative realistiche.
Secondo passo: costruire una diversificazione utile
Diversificare non vuol dire investire piccolissime cifre in tantissimi fondi simili tra loro: significa abbinare investimenti che hanno andamenti molto diversi tra loro tramite strumenti che danno un valore aggiunto. Noto spesso che molte persone investono in titoli di Stato non direttamente, ma sempre tramite fondi o ETF.
Se il fondo in questione investe solo in titoli di Stato italiani, dobbiamo chiederci che valore aggiunto offre questo prodotto, dato che si possono comprare titoli di Stato direttamente presso un qualsiasi intermediario. Se invece il fondo diversifica davvero, investendo in obbligazioni di emittenti molto diversi tra loro, allora posso anche trovare il valore aggiunto. In altre parole, è una buona idea analizzare il contenuto dei prodotti che abbiamo in portafoglio. Se abbiamo fondi che investono solo in Btp, possiamo chiederci se non sia il caso di sostituire il fondo con l’acquisto diretto di Btp, ad esempio.
Poi dobbiamo chiederci se il portafoglio di fondi che abbiamo offrono una vera diversificazione oppure una “finta” diversificazione. Vediamo un esempio: qui sotto, nel grafico 4, si vede l’andamento di un ETF che investe in obbligazioni societarie globali (linea nera) ed un ETF che investe nell’indice azionario globale (linea rossa).
I due prodotti non hanno un andamento identico, però sono sicuramente molto simili, cioè molto correlati. La diversificazione tra questi due strumenti quanto valore aggiunto crea alla qualità del portafoglio?
Grafico 4: un ETF azionario ed un ETF obbligazionario correlati tra loro
Nel grafico 5, invece, si vede l’andamento di un ETF che investe in titoli di Stato americani in dollari (linea nera) e l’ETF azionario globale (linea rossa): hanno un andamento molto divergente e poco correlato: diversificare in investimenti con andamento divergente può dare un valore aggiunto e servire per migliorare la qualtità del portafoglio?
Per capire in quali fondi o ETF investire con l’obbiettivo di diversificare sul serio, è opportuno conoscere il contenuto dei singoli fondi, verificando di non avere troppi prodotti che siano delle “repliche” tra loro, cioè che abbiano andamenti simili.
Inoltre, i portafogli più tradizionali tendono ad investire in azioni ed obbligazioni, con una strategia cosiddetta bilanciata. Le strategie bilanciate sono una scelta sicuramente giusta nei periodi di inflazione calante, mentre possono essere una scelta non ottimale in periodi di inflazione crescente per le ragioni ampiamente esposte poco fa.
Nel prossimo articolo approfondiremo proprio la questione inflazione e vedremo quali possono essere le strategie di investimento in uno scenario di inflazione crescente.
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